In sede di conversione del Decreto Cura Italia, la Legge n. 27/2020 ha introdotto un nuovo articolo 19-bis che getta le basi per un serio ripensamento della disciplina dei contratti a tempo determinato:
«Norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine»
1. Considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del presente decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità, in deroga alle previsioni di cui agli articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione
Sul senso della rubrica non serve interrogarsi più di tanto, basti sapere che si riferisce ai contratti a termine.
Siamo oramai abituati a vedere rubriche che non hanno la minima correlazione con il contenuto della norma (vedasi al riguardo l’art. 46 sui licenziamenti per cui si è dovuta cambiare la rubrica in sede di conversione talmente fosse palese la distonia con il suo contenuto).
Ma anche sul contenuto poco chiaro delle norme siamo oramai abituati.
Se un lettore non pratico di diritto del lavoro leggesse una norma del genere, penserebbe subito che gli «articoli 20, comma 1, lettera c), 21, comma 2, e 32, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81» vietino alle imprese in cassa integrazione «di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione».
Non è così.
L’art. 20, comma 1, lettera c, D.lgs. n. 81/2015, stabilisce che non è ammessa l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato «presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato».
Il nuovo art. 19-bis permetterebbe dunque di assumere con contratto a tempo determinato, pur avendo fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.
L’art. 21, comma 2, D.lgs. n. 81/2015, stabilisce invece che, ove non venga rispettato per il rinnovo il termine di dieci giorni (se il primo contratto era inferiore ai sei mesi) ovvero di venti giorni (se il primo contratto era superiore ai sei mesi) dalla scadenza del primo contratto a tempo determinato, «il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato».
Il nuovo art. 19-bis permetterebbe dunque di rinnovare i contratti a tempo determinato senza dover rispettare i c.d. periodi cuscinetto dello Stop and Go tra un contratto e l’altro.
L’art. 32, comma 1, lettera c, D.lgs. n. 81/2015, ha infine un contenuto speculare all’art. 20, comma 1, lettera c.
Il nuovo art. 19-bis permetterebbe dunque di assumere con contratto di somministrazione, pur avendo fatto ricorso agli ammortizzatori sociali.
Nessuna delle norme menzionate dall’art. 19-bis vieta però alle imprese in cassa integrazione di prorogare i contratti a tempo determinato.
Questo perché casi non esiste una specifica norma da derogare.
Esistono solo due limiti alla proroga dei contratti a tempo determinato e sono comuni a tutte le imprese:
– numero massimo di quattro proroghe;
– obbligo di causale se con la proroga si supera il termine di dodici mesi.
Entrambi sono stati introdotti dal Decreto Dignità, ma non mi pare che la nuova disposizione permetta di derogarli.
Sono oramai passati due anni ormai da quando il Decreto Dignità ha reintrodotto la causalità dei contratti a tempo determinato, originariamente eliminata dal Decreto Poletti e riproposta poi nel D. Lgs. n.81/2015.
Oggi il contratto a tempo determinato non richiede alcuna causale solo nel caso di prima assunzione a termine se di durata pari, o inferiore, a dodici mesi.
Con riferimento invece ai contratti assunzione di durata superiore ai dodici mesi, nel limite massimo di ventiquattro mesi, è d’obbligo l’apposizione delle seguenti causali giustificatrici del termine: «a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.»
Le medesime causali sono invece sempre richieste, indipendentemente dalla durata iniziale del precedente contratto, in caso di rinnovo del contratto.
Viene allora da chiedersi quale sia il senso di questa nuova disposizione inserita in sede di conversione.
L’art. 19-bis permette di assumere con contratto a tempo determinato e di somministrazione in deroga al divieto nei confronti delle imprese che beneficiano degli ammortizzatori sociali, ma non elimina l’obbligo di causale per i termini superiori ai dodici mesi.
L’art. 19-bis permette di rinnovare con contratto a tempo determinato senza dover rispettare il termine dello Stop and Go tra un contratto e l’altro, ma non elimina l’obbligo di causale per i rinnovi.
L’art. 19-bis deroga ad una disciplina delle proroghe che in realtà non deroga, perché né aumenta il numero né elimina l’obbligo di causale per la proroga con cui si supera il termine dei dodici mesi.
Nessuna impresa di questi tempi correrebbe il rischio di apporre una causale con la concreta possibilità di un contenzioso per la trasformazione del contratto.
Abbiamo superato l’inverno, siamo in primavera e fra un mese ci ritroveremo in estate, non sarebbe stato allora meglio ammantare le attività lavorative circoscritte dallo stato di emergenza di una “stagionalità” che permetta loro di derogare anche alla durata massima dei ventiquattro mesi, alla disciplina delle proroghe ed a quella dei rinnovi?
Sono tempi bui, lo comprendo, ma bisognerebbe sfruttarli per riconsiderare i sistemi di ingresso nel mercato del lavoro, perché difficilmente imprese e lavoratori rivedranno la luce senza la giusta flessibilità.