Categorie
Diritto del lavoro

Nuovi lavori, vecchie abitudini: riders e caporalato

Le vecchie abitudini come il caporalato sono dure a morire in un paese come l’Italia, specialmente se, in un periodo come questo del COVID-19 di libera circolazione dei soli riders, v’è stato un estremo bisogno, per facilitare l’incontro tra domanda ed offerta, dei nuovi lavori creati dalle piattaforme digitali.

La notizia delle ultime ore, infatti, è che il Tribunale di Milano ha commissariato l’azienda di delivery Uber Italy srl per caporalato.

Secondo la ricostruzione i ciclofattorini non lavoravano alle dipendenze di Uber ma di altre società del settore logistica come Flash Road City.

Cercando di riassumere e di esemplificare al meglio il senso della pronuncia, i soggetti interessati nel caporalato sono tre: il lavoratore rider, il datore di lavoro formale ovvero il caporale Flash Road City e l’utilizzatore della prestazione dei clofattorini Uber.

Flash Road City ricercava ed ingaggiava per conto di Uber i riders da sfruttare per l’attività di consegna, trattenendo a sé una parte del loro compenso come corrispettivo per il servizio di mediazione reso.

Il caporalato sfrutta lo stato di bisogno di riders come  Souleymane, Cheik Yacouba, Bayo, che pur di trovare lavoro accettavano qualsiasi cosa, persino di ricevere compensi come 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall’ora.
E se questi lavoratori si ribellavano venivano intimoriti con frasi del tipo: «Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (…) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il….».

L’intermediazione illecita di manodopera ed il caporalato configurano un reato in forza dell’articolo 603-bis del Codice penale. La sanzione prevista è la reclusione da uno a sei anni e multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, se invece il fatto è commesso con violenza ovvero minaccia la reclusione è da cinque a otto anni e multa da 1.000 a 2.000 euro.

Ha allora ragione un noto filosofo contemporaneo quando afferma che «bisogna aiutarli a casa loro» perché, se questa è la fine che fanno a casa nostra, forse è meglio continuare a tenere i porti chiusi, così almeno possiamo ancora salvarli da noi italiani.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *