A distanza di mesi dai vari inviti, raccomandazioni e diritti del Governo rimane da chiedersi ancora se lo smart working sia (o sia stato) un diritto?
Un diritto soggettivo, sia pur sottoposto alla condizione che «tale modalità di lavoro sia compatibile con le caratteristiche della prestazione» è comunque previsto fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica solo dall’art. 39, comma 1, del d.l. n. 18 del 2020 per i lavoratori disabili in condizione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. 104 del 1992 o per coloro che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona disabile in condizione di gravità.
Limitatamente alle PA invece, l’art. 87 del d.l. n. 18 del 17 febbraio 2020 statuisce che «fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-2019, il lavoro agile è la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che, conseguentemente a) limitano la presenza del personale negli uffici per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro, anche in ragione della gestione dell’emergenza; b) prescindono dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dagli artt. da 18 a 23 l. 22 maggio 2017, n. 81».
Una recente ordinanza del Tribunale di Roma in tema di smart working nel settore sanitario analizza il rapporto tra questi due diritti e gli interessi sottesi alle disposizioni.
L’ordinanza, oltre ad applicare l’ultima normativa in materia di lavoro a distanza per il settore pubblico, si caratterizza per l’attenta ponderazione tra l’interesse del lavoratore ad assistere un proprio familiare disabile e l’interesse pubblico ad assicurare una presenza di lavoratori del settore sanitario nella fase della emergenza epidemiologica.
A mio sommesso avviso comunque, dalla pronuncia in esame (prescindendo dalla particolarità del caso che richiama entrambi gli articoli menzionati) emerge che, ove venga richiesto, sia possibile e soprattutto giustificabile da parte del dipendente, lo smart working – fino alla cessazione dello stato di emergenza – possa anche essere considerato come un vero e proprio diritto del lavoratore.