Categorie
Diritto del lavoro

IL PERICULUM DI UN DIRITTO ALLO SMART WORKING A TEMPO DETERMINATO

È capitato allo scrivente di imbattersi in un’ordinanza del Tribunale di Roma, ove il giudice, nonostante la sussistenza del fumus boni iuris sul diritto allo smart working, rigettava il ricorso ex art. 700 c.p.c. per l’insussistenza del periculum in mora, avendo il lavoratore atteso cinque mesi prima di procedere in via giudiziale.

Il ricorrente aveva potenzialmente (si dirà alla fine il perché) diritto allo svolgimento della prestazione in smart working in ragione dell’art. 21-ter, del decreto di Agosto, ma fonda il ricorso sugli artt. 39 del D.L. 18/2020 e 90 del D.L. 34/2020. L’art. 21-ter prevede fino al 30 giugno 2021, per i lavoratori dipendenti privati con figli in condizioni di disabilità grave dichiarata (ai sensi della legge n. 104 del 1992), di vedersi riconosciuto il diritto a svolgere la prestazione di lavoro a distanza (cd. smart working), purché ovviamente la prestazione sia compatibile con la modalità agile; ma il lavoratore era un avvocato iscritto all’albo, dunque l’attività risultava essere pacificamente compatibile con il lavoro agile.

Il punto è che, secondo il giudice, avendo l’impresa già concesso a tutti lo smart working al 50%, il lavoratore non avrebbe avuto diritto a pretendere più di quanto concesso agli altri: come se concedendo a tutti un po’ di diritto, possa venir meno quello previsto dalla legge per il singolo.

Insomma diritto comune, mezzo gaudio.

Ma v’è di più. Il giudice entra anche in una valutazione di merito sulla situazione del figlio del ricorrente, valutando se i permessi 104/1992 fossero per problemi respiratori.

Come se l’art. 21-ter prevedesse come ulteriore condizione per il diritto allo smart working che la disabilità richiesta sia da ricondurre solo ed esclusivamente a quelle ragioni.
È la legge stessa ad aver fatto un bilanciamento degli interessi sottesi al diritto al lavoro agile. Ma l’interess all’art. 21-ter è nettamente differente da quello dell’art. 39 (è simile a quello dell’art. 90): non è tanto la tutela dello stato di salute del figlio, quanto la tutela della mancanza di autosufficienza dello stesso.

Il giudice tuttavia rigetta (sia chiaro) il ricorso perché il lavoratore aveva atteso cinque mesi circa prima di agire in via d’urgenza, con ricorso depositato il 6.11.2020, da quando egli è stato assegnato al lavoro in modalità smart working al 50%, a decorrere dal 3.6.2020.

Insomma chi si accontenta, gode, del diritto, sempre e comunque.

Ma la cosa è ancora più assurda se si pensa che il diritto allo smart working è a tempo determinato e l’irreparabilità del danno, riconducibile al periculum in mora, riguarda proprio la possibilità di rimediare in futuro ai danni che chi chiede l’ordinanza cautelare ritiene subirà.

Ciò che tuttavia viene sottaciuto nel ricorso ed avrebbe potuto forse essere il vero motivo di rigetto è che un’altra condizione fondamentale posta dall’art. 21-ter – ed è il motivo per cui (forse) il ricorrente fonda (volutamente ed erroneamente) il proprio ricorso sulle altre due disposizioni relative allo smart working – è che non vi sia nel nucleo familiare altro genitore non lavoratore, quando  nel caso di specie si desume chiaramente che il coniuge del ricorrente non stia al momento lavorando (stante il fatto che anche lo stesso è dipendente della società resistente e non lavora presso la struttura da anni).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *