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Diritto del lavoro

Il Parlamento Europeo (non) risolve il tema dei tirocini

Il Parlamento Europeo ha da poco scoperto (comunque meglio tardi che mai) che i tirocini non retribuiti sono “una forma di sfruttamento dei giovani lavoratori e una violazione dei loro diritti“, invitando – con 580 voti favorevoli, 57 contrari e 55 astensioni – la Commissione e gli Stati membri a proporre un quadro giuridico comune per garantire un’equa retribuzione per tirocini ed apprendistati.

Ma quindi il problema di questi due istituti (nel prosieguo si parlerà preminentemente del primo) è solo la retribuzione?

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la materia sa (ma è bene ricordarlo) che tirocinio ed apprendistato, sebbene entrambi finalizzati alla formazione ed alla facilitazione dell’ingresso nel mondo del lavoro, sono cose differenti.

In estrema sintesi (e cercando di semplificare concetti assai più complessi): mentre il tirocinio non è un rapporto di lavoro (fermo restando che, ove si atteggi in modo difforme da quanto risulta dalla loro disciplina, può essere oggetto di una diversa qualificazione giudiziale), l’apprendistato è a tutti gli effetti un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (con un periodo di formazione a tempo determinato).

Ovviamente anche l’apprendistato può prestarsi a forme di ricorso abusive, ma la differenza tra i due istituti non è solamente nominalistica, perché un tirocinante differentemente da un apprendista non ha le tutele di un rapporto di lavoro (subordinato) tradizionale; e così lo stagista non può beneficiare di diritti fondamentali (derivanti da un contratto di apprendistato) come la maternità, la malattia, gli assegni familiari, la cassa integrazione, i contributi, la disoccupazione e la tutela in caso di licenziamento illegittimo.

Dunque, il problema dei tirocini non è tanto – e comunque non solo –  quello dell’equa retribuzione, quanto il fatto che l’imprenditore possa incassare la subordinazione senza correre alcun tipo di rischio, potendo essere facilmente dissimulati dietro a questi “rapporti” forme di abuso e di palese sfruttamento del lavoro; beninteso, non tutti gli stage sono illegittimi e comunque nulla esclude (lo si è già detto) che possa esservi il riconoscimento – in questi casi – di un contratto di lavoro subordinato, ma bisognerebbe prima passare per un avvocato e poi per un giudice. Meglio allora – specialmente perché si tratta di ragazzi – cercare un nuovo lavoro, piuttosto che “lottare” (pagando) per quello per cui non si è più graditi.

Non sarebbe allora il caso di rivisitare completamente l’istituto della “formazione” (in generale)? Magari cercando di coordinare il tirocinio e l’apprendistato?

Perché fin quando – va segnalato, a questo proposito, che al Parlamento UE era stato presentato un emendamento che chiedeva proprio di vietare (ma solamente) i tirocini non retributivi – esisteranno in Italia gli stage, a prescindere dal fatto che siano pagati o meno, è ovvio che l’istituto dell’apprendistato si troverà a retrocedere a fronte dei molteplici vantaggi (lo si ripete, non solo economici) che il tirocinio offre alle imprese.

Il Parlamento Europeo, dunque, non risolve il tema dei tirocini, si limita semplicemente a grattarne la superficie.

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