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Diritto del lavoro

Il diritto allo smart working esiste, ma non è incodizionato

Buone nuove per chi si sta chiedendo se esiste o meno un diritto allo smart working.
Il diritto c’è ed è più ampio di quanto si possa pensare, ma pur sempre a condizione che sia richiesto, possibile e giustificabile da parte del dipendente.

Con decreto di rigetto n. 1054/2020 il Tribunale di Mantova ha ineccepibilmente interpretato – grazie all’aiuto dei legali della difesa – l’art. 90 del D.L. n. 34/202, Decreto Rilancio, il quale prevede che:«Fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID–19, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza degli accordi individuali, fermo restando il rispetto degli obblighi informativi previsti dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, e a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione

Ex art. 700 c.p.c. un lavoratore lamentava la violazione del diritto allo svolgimento della propria prestazione lavorativa in modalità agile, così come previsto dall’art. 90 del Decreto Rilancio. Il ricorso è stato tuttavia rigettato, per la piena insussistenza dei presupposti indefettibili sia del periculum in mora (grave rischio per la salute del dipendente e mancata possibilità di accudimento del figlio minorenne) che del fumus boni iuris (compatibilità delle mansioni svolte rispetto alla modalità agile e coniuge in smart working).

La pronuncia, sebbene possa destare qualche dubbio riguardo l’aderenza al dettato normativo, appare in realtà più che coerente con la normazione emergenziale: l’esercizio del diritto ad eseguire la prestazione in smart working non è libero ed incondizionato, bensì è subordinato al ricorso di determinati requisiti.

Nel caso dell’art. 90 D.L. n. 34/2020, il legislatore ha subordinato il diritto allo svolgimento della prestazione in modalità agile alla circostanza che non vi sia altro «altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore». Nel caso di specie, pur non essendo perfettamente sovrapponibili, la coniuge del ricorrente svolgeva la propria prestazione lavorativa in smart working, così da far venir meno completamente la circostanza posta a fondamento del ricorso.

Ma non sarebbe questa la sola condizione determinante il riconoscimento di un diritto allo smart working, poiché il legislatore con la disposizione in esame ha semplicemente tipizzato un ulteriore necessità giustificatrice della richiesta di svolgimento della prestazione in modalità agile, venutasi a creare a seguito della chiusura delle scuole.

Il primo vero presupposto per la concessione dello svolgimento della prestazione agile è la «condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione

Posta infatti la circostanza del minore infraquattordicenne del Decreto Rilancio è comunque opportuno fare un passo indietro, fino alla decretazione d’urgenza del lockdown, per comprendere quando sorge un diritto allo smart working.

Prim’ancora del D.L. n. 34/2020, infatti, anche l’art. 39 del Decreto Cura Italia riconosceva un diritto soggettivo – sottoposto anch’esso alla condizione che «tale modalità di lavoro sia compatibile con le caratteristiche della prestazione» – allo svolgimento della prestazione in modalità agile per i lavoratori disabili in condizione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. 104 del 1992 o per coloro che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona disabile in condizione di gravità e trattasi comunque di un diritto da esercitare entro la fine dello stato di emergenza epidemiologica. Già allora, dunque, l’intento del legislatore era tutelare – un po’ come adesso nel caso del minore di 14 anni – lo stato di salute del lavoratore disabile ovvero del familiare in condizione di disabilità attraverso una modalità lavorativa che potesse garantire il work-life balance del dipendente.

Pur differenziate nelle circostanze, le norme sottopongono dunque il medesimo diritto allo svolgimento della prestazione in modalità agile all’ esplicita condizione che essa sia “compatibile” con l’attività lavorativa richiesta dal datore di lavoro.

Il legislatore ha dunque tipizzato alcune circostanze giustificatrici, che consentano di accogliere la richiesta del dipendente di svolgere la prestazione lavorativa in smart working, senza con ciò venir meno la condizione cardine della compatibilità.

In quest’ottica, dunque, il riferimento che la legge fa alla minore età del figlio (art. 90) ovvero alla tutela dello stato di bisogno di un familiare disabile (art. 39),  non va interpretato restrittivamente, alla stregua di unica ipotesi, tipica e tassativa di causa giustificatrice lo smart working, bensì come meri esempi di essa, ben potendo tale giustificazione configurarsi anche a fronte di situazioni di fatto differenti, purché compatibili con la prestazione di lavoro richiesta.

In allegato l’ordinanza del Tribunale di Mantova

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