Categorie
Diritto del lavoro

Quello che le norme non dicono

Le norme non dicono quello che le esporrebbe ad una palese illegittimità costituzionale.

Rimandando ad un altro articolo il riassunto delle puntate precedenti, il 14 agosto 2020 è uscito il nuovo Decreto Agosto che è ulteriormente intervenuta in materia di licenziamenti.

Queste le declinazioni certe dell’art. 14:

– non c’è più blocco dei licenziamenti se la società fallisce ovvero cessa la propria attività ovvero c’è un accordo collettivo aziendale che permette di licenziare;

– c’è il blocco dei licenziamenti se la società usufruisce dello sgravio contributivo fino alla fine dell’esonero (possono usufruire dell’esonero solo le imprese che abbiano già beneficiato della CIG Covid-19).

– c’è il blocco dei licenziamenti se usufruisco delle ulteriori 18 settimane di CIG previste dal nuovo decreto fino alla fine del periodo di integrazione salariale;

Non è invece ancora chiaro cosa possano e non possano fare le imprese che né richiedono la CIG Covid-19 ovvero l’esonero contributivo, perché l’articolo non proroga espressamente il termine del 17 agosto 2020.

D’altro canto, secondo la norma, «resta, altresì, preclusa» la facoltà di licenziare per g.m.o. «Ai datori di lavoro che non  abbiano  integralmente  fruito  dei trattamenti di  integrazione  salariale  riconducibili  all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’articolo 1 ovvero  dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 3 del presente decreto».

Ragion per cui, la nuova norma prorogherebbe automaticamente il divieto di licenziamento anche per le imprese che non rientrano nelle precedenti declinazioni (ed in questo caso) fino al 31 dicembre 2020, data ricavabile implicitamente dal comma 4 in merito alla revoca dei licenziamenti (l’unica esplicitamente prorogata): «Il datore  di  lavoro  che,  indipendentemente  dal  numero  dei dipendenti, nell’anno 2020 abbia proceduto al recesso del  contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo  3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, può, in deroga  alle  previsioni di cui all’articolo 18, comma 10, della legge 20 maggio 1970, n. 300, revocare in ogni tempo  il  recesso  purchè  contestualmente  faccia richiesta del trattamento di cassa  integrazione  salariale,  di  cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17  marzo  2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24  aprile  2020,  n. 27, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato  senza  soluzione di continuità, senza oneri ne’ sanzioni per il datore di lavoro.»

Quello che le norme non dicono è dunque la palese sproporzione del blocco dei licenziamenti e la compromissione della libertà datoriale anche per coloro che né usufruiranno della CIG Covid-19 né dell’esonero contributivo. Questa nuova moratoria si espone dunque ad una sentenza manipolativa additiva nella misura in cui la norma non prevede la facoltà di recedere per questo tipo di imprese.

Se così fosse, sarebbero palesi i dubbi di legittimità costituzionale della disposizione.

1 risposta su “Quello che le norme non dicono”

Continuo a non capire chi sarebbe escluso dai sostegni CIG/FIS/CIGD.
Non mi piace questo Governo perché ritengo troppo impreparati i suoi componenti, ma questa volta hanno detto che se una azienda ha surplus di manodopera prima di licenziare utilizzi i soldi che le vengono concessi e solo quando avrà esaurito questo passaggio potrà passare al licenziamento. Mi sembra cosa ragionevole sulla quale trovo superflui tranti giri di parole…..

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *