I latini ci hanno insegnato sin dal passato che «Ignorantia legis non excusat», per i meno pratici, «L’ignoranza della legge non discolpa».
Al tempo del COVID-19 invece, per quel che rileva ai fini del diritto del lavoro, sembrerebbe si stia paventando un nuovo brocardo «Ignorantia culpat», in italiano, «L’ignoranza è una colpa».
Prima il problema erano i test sierologici sul luogo di lavoro, adesso sono i vaccini.
A distanza di quasi un anno dall’inizio dell’emergenza epidemiologica esiste infatti ancora gente che nega l’esistenza di questo virus e (forse anche conseguentemente) gente contraria al vaccino.
La declinazione di questo problema nel mondo del diritto del lavoro sembrerebbe abbia portato alla seguente domanda: può un datore di lavoro licenziare il dipendente che decide di non vaccinarsi?
O se si preferisce: è possibile il licenziamento del no-vax?
Sul punto, in assenza di un intervento ad hoc del legislatore, che imponga la vaccinazione per tutta la popolazione – al netto di occupati, inoccupati, disoccupati, negazionisti e no-vax – due sembrerebbero essere le opinioni.
V’è l’opinione di chi sostiene che si possa (anzi, si debba) licenziare:
– una del magistrato Raffaele Guariniello fondata sull’art. 279 del Testo Unico della Sicurezza del Lavoro;
– una del Prof. Avv. Pietro Ichino fondata sull’art. 2087 c.c.
V’è poi l’opinione di chi si pone nel mezzo:
– l’Avv. Giampiero Falasca secondo cui non è possibile considerare la vaccinazione come un obbligo connaturato all’adempimento del contratto di lavoro, salvo che non si svolgano mansioni specifiche per le quali è richiesto uno specifico standard di sicurezza sanitaria.
V’è poi l’opinione meno autorevole delle precedenti, quella mia, che certamente non sono né un negazionista né un no-vax.
Ritengo a questo punto necessario inquadrare preliminarmente il problema collocando i no-vax (perché nel più dell’ignorantia è sempre ricompreso il meno dei negazionisti), come “obiettori di coscienza”.
Ricordando però che è obiettore di coscienza chi rifiuta di ottemperare ad un dovere, imposto dall’ordinamento giuridico o comunque contrario alle convinzioni di una persona, da parte di chi ritiene gli effetti che deriverebbero dall’ottemperanza contrari alle proprie convinzioni etiche, morali o religiose.
Non va dimenticato a tal proposito come vi siano medici, scienziati, ricercatori, autorevoli esponenti del mondo accademico a livello internazionale, associazioni e ordini professionali critici rispetto l’attuale profilassi vaccinale.
Non entro nel merito di questi dubbi, perché non è il mio campo (quindi rimando alla fine dell’articolo).
Fatto sta che non tutti – o forse sono solo fake news – sono concordi.
Nel dubbio comunque io preferisco vaccinarmi.
Da un punto di vista giuslavoristico comunque non mi pare nemmeno si possa configurare – quantomeno non ancora – un problema di “obiettori di coscienza”.
Non v’è infatti in capo al datore di lavoro una norma che legittimi il potere/dovere di imporre il vaccino ad un proprio dipendente, a pena di licenziamento.
Non lo dice né l’art. 279 del d.lgs. n. 81/2008 né l’art. 2087 c.c.
Mi pare più che altro che queste disposizioni impongano, ove possibile al datore di lavoro di adoperarsi affinché faccia di tutto per non mettere in pericolo la salute dei propri dipendenti. Ma (e già questo basterebbe a risolvere tutto il problema) al momento la competenza esclusiva è del SSN.
Tutt’al più, avrebbe più senso fondare il potere (senza dovere) di licenziare in base ad un onere che grava sul lavoratore, aggirando così anche il blocco dei licenziamenti.
In effetti, ai sensi dell’art. 20, del d.lgs. n. 81/2008, grava proprio sul lavoratore sia l’obbligo di prendersi cura della propria salute, sia della salute “delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni”.
Il licenziamento del no-vax non dovrebbe dunque essere fondato su un giustificato motivo oggettivo – come ritengono Guariniello ed Ichino – ma su un motivo disciplinare, configurandosi il mancato vaccino al massimo come un vero e proprio inadempimento contrattuale del lavoratore.
Il datore dunque avrebbe un potere che non è un dovere.
Anche perché poi la legittimità del licenziamento – eccezion fatta per i g.m.o. che fino al 31 marzo 2021 sono a prescindere nulli – dovrà essere sempre accertata da un giudice.
Nemmeno questa disposizione coglierebbe però a mio avviso completamente nel segno, perché il lavoratore avrebbe colpa solo se dalle sue azioni, o meglio obiezioni, derivassero effetti sulle altre persone presenti sul luogo di lavoro.
Ed un effetto tangibile al momento vi sarebbe solo per gli operatori sanitari, gli unici lavoratori che sappiamo avere la possibilità immediata di vaccinazione.
Gli effetti andrebbero invece ad affievolirsi man mano che ci si avvicina alla c.d. immunità di gregge.
Questo passaggio forse è un po’ troppo generico ed è meglio esemplificare il concetto.
Un domani – da identificarsi nel momento in cui avremo la c.d. immunità di gregge – in un’azienda di 5 lavoratori, potranno esserci quattro dipendenti vaccinati ed uno obiettore di coscienza.
In questo caso, chi metterebbe a rischio il lavoratore obiettore di coscienza?
Lo dico io, nessuno.
Discorso diverso – come sembrerebbe suggerire Falasca – è se l’obiettore di coscienza fosse un cameriere che lavora a contatto con il pubblico, perché l’art. 20 ricomprende anche la clientela tra i destinatari degli effetti.
Ma anche in questo caso a mio avviso non vi sarebbe pericolo ed è forse necessario esemplificare ancora una volta il concetto.
Al tavolo da servire ci sarebbero infatti 5 persone, quattro vaccinate ed un (altro) obiettore di coscienza.
In questo caso, chi metterebbe a rischio il cameriere obiettore di coscienza?
Lo dico io, ancora una volta, l’altro obiettore di coscienza, il quale non avrebbe comunque fatto il vaccino perché convinto delle proprie opinioni, o se si preferisce, perché “no-vax”.
Quindi mi spiace, ma fin quando il legislatore non prenderà posizione sull’obbligatorietà o meno di questo vaccino, la questione sul licenziamento dei dipendenti no-vax, rimane e rimarrà una sterile polemica.
Suppongo però che il legislatore, almeno per evitare le ripercussioni che si avrebbero nel mondo del diritto del lavoro, deciderà di non prendere posizione sull’obbligatorietà del vaccino. Proprio per sottrarsi al dovere di fare poi i conti con la conseguente regolamentazione degli obiettori di coscienza. E se non lo farà subito non lo farà mai, perché il problema del licenziamento dei no-vax “meno esposti” (la maggior parte dei lavoratori) si porrà solo dopo che saranno stati vaccinati tutti soggetti “a rischio” (chissà quando e soprattutto come si saprà?!).
Ma poi come potrebbe sapere un datore che il dipendente aveva la possibilità ed ha deciso di non vaccinarsi?
Non può saperlo perché lo vieta l’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori.
Il problema si pone dunque – come anzidetto – solo nell’immediato e solo per gli operatori sanitari.
Dopo ci sarà (si spera) la c.d. immunità di gregge.
Credo che al massimo il legislatore possa assumersi la responsabilità di imporre i vaccini ai soli dipendenti pubblici.
Ma in quel caso si tratterebbe di tutt’altra storia perché il legislatore (lo Stato) vestirebbe direttamente i panni di datore di lavoro (la pubblica amministrazione).
Quindi, per concludere, mi spiace dirlo, ma «Ignorantia excusat».
Non è possibile il licenziamento del no-vax.
Per tutte le affermazioni che non attengono al diritto del lavoro, necessitate solo per circoscrivere il tema, invito comunque a leggere l’AIFA.