La Corte Suprema britannica ha confermato che gli autisti di Uber sono workers e non lavoratori subordinati (employees).
La differenza?
Più o meno la stessa che c’è(ra), secondo la Corte d’Appello di Torino, tra il lavoratore etero-organizzato ed il lavoratore subordinato.
Secondo la Corte d’Appello di Torino, infatti, l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 creava un nuovo tertium genus, le collaborazioni organizzate dal committente, a cui si applicava la disciplina del lavoro subordinato, eccezion fatta per quella riferita ai licenziamenti.
In Cassazione è stato poi chiarito che l’art. 2 non è una norma di fattispecie e rientra nella “disciplina del rapporto di lavoro subordinato” anche quella dei licenziamenti, ma è rimasto sempre il dubbio sull’esclusione apodittica della Corte d’Appello di Torino.
Probabilmente per comprendere il motivo di questa esclusione sarebbe bastato guardare ai cugini inglesi dei riders, gli autisti di Uber, considerati dal 2016 come workers e non come lavoratori subordinati.
I workers infatti hanno diritto al salario minimo ed alla ferie, ma non alla tutela contro il licenziamento illegittimo.
Una sentenza che sicuramente avrà ripercussioni sul mercato del lavoro italiano e chissà, forse porterà in auge l’art. 2, D.lgs. n. 81/2015 (che però, ricordiamo, è cosa diversa dal worker e dalla Corte d’Appello di Torino).